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Lætitia Jacquetton

Il lavoro di Lætitia Jacquetton si ispira all'artigianato, ai giardini e all'architettura giapponese. È a Okinawa che sperimenta per la prima volta la soffiatura del vetro. Ispirata dal movimento Mingei e dagli scritti di Yanagi Sōetsu, ha iniziato a lavorare il vetro con la canna da zucchero, una tecnica complessa che richiede anni di pratica.

Lætitia Jacquetton ha proseguito il suo apprendistato di soffiatrice a Murano e ora lavora in laboratori in Francia e in Italia. Il suo amore per la natura l'ha portata a utilizzare rocce selvatiche raccolte nei letti dei fiumi e sui fianchi delle montagne, facendo attenzione a non disturbare mai l'ambiente naturale da cui provengono.

La ricerca dell'equilibrio tra vetro e pietra è un tema costante nel lavoro di Lætitia Jacquetton, che nelle sue sculture riesce a coniugare due materiali dalle proprietà opposte. La roccia, dura e porosa, è ammorbidita dalla trasparenza e dalla fragilità del vetro, che abbraccia le sue pareti minerali con fluidità e sensualità.

La serie Antropocene include un nuovo elemento nelle sue sculture: il mattone da forno. Questi mattoni si trovano in tutte le vetrerie con forni tradizionali e vengono regolarmente sostituiti, anche se ora tendono a scomparire. Agendo come intermediario tra la pietra e il vetro, questo materiale illustra il rapporto tra natura e cultura e testimonia il tocco umano sugli elementi che lo circondano.

Ha ulteriormente arricchito il suo lavoro collaborando con un artista concettuale neozelandese, Chauncey Flay. In particolare, egli lavora alla sfaccettatura delle pietre che raccoglie nella sua regione natale di Taranaki. L'unione del loro lavoro si basa sull'idea del contrasto tra pietra grezza e pietra tagliata, creando effetti ancora inesplorati di texture e riflessione. Jacquetton continua le sue esplorazioni con le lampade in vetro di Murano, utilizzando lo stesso processo dei suoi vasi. Per illuminare i suoi pezzi gioca con la trasparenza del materiale e utilizza un assemblaggio di ottone e LED. Le lampade si chiamano "Cotisso", in riferimento ai pezzi di vetro recuperati dai fondi dei crogioli di Murano, che conferiscono un aspetto scultoreo agli oggetti realizzati con essi.

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